Page 80 - Un momento di Stasi
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La consapevolezza d'essere piccolo ed insignificante
l’ho avuto da sempre. Ho vissuto in questo mondo con
l’esasperante desiderio di capire chi fossi, dove mi trovassi
e cosa esistesse oltre il mio mondo. Vivevo con un amico a
me simile. Era spensierato e trascorreva il suo tempo in
modo sereno. Si rammaricava dei miei crucci; si seccava dei
miei monologhi.
Non faceva caso a quel muro invalicabile contro cui
sbattevo perennemente il naso per cercare di capire cosa ci
fosse oltre. Speravo, come succedeva nei miei “giri” che ci
fosse una fine ed un inizio. M’illudevo che qualcuno avesse
generato il mio mondo come io generavo le mie idee. Non
mi davo pace mentre mi chiedevo cosa fosse quel faccione
grande come il mio mondo che precedeva di poco la
“manna” che mi nutriva. Era sicuramente il mio Dio.
Dovevo venerarlo se volevo sperare d'avere altro da
mangiare; se volevo sperare in un'immanenza come la sua.
Era infinito. Ogni tanto il mio mondo andava in
tumulto; tutto si muoveva intorno a me, il vero e
l’immaginario. Il mio compagno lo pregava affinché
risparmiasse la sua vita. Anche se temevo così tanta
potenza, mi chiedevo chi avesse generato lui; e i miei
pensieri si perdevano negli spazi eterni e nelle infinite
soluzioni.
Un giorno il mio compagno incominciò ad accusare
forti dolori.
Sentiva la sua vita appesa ad un filo e la sua esistenza
tramontare. Non gli interessavano più le sue lunghe sortite,
i suoi interminabili giri, i guizzi sereni. Dinanzi alla morte
ci si chiede solo di illudersi di qualcosa.