Page 11 - ombre
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e quanto l’altra seppe in te colmar.



                           Dimmi, seppur dell’intimo ricordo ancor


                           T’inebri,

                           qual’erano i dì terreni che a te eran cari,

                           a qual pro vi fu ideal diverbio

                           del duo che sognò d’essere immortale.




                           Leggo nell’arcigno tuo viso tratti sereni

                           c’adducano sperar nell’eterno Idilio.

                           Forse gustavi in terra quel che velato

                           t’appar si celi oltre la vita?




                           Povero eremita t’illudi a sognar sacri lidi,

                           i qual t’appaiono ancor che, tu gravoso

                           strascichi in amara terra.




                           Mortifichi la gioia dei sensi tuoi

                           quando t’innamori del vago e delle stelle

                           e se attraversi incolume il dogma della vita.




                           Oramai stanco delle tue astruse rotte,

                           la nave volge il vavigar per quieti mari.

                           Tu, forse deriso, forse malato e stanco,

                           scorgi ancora dall’onda che t’avvolge,

                           quanta grazia ponga nell’issar le vele


                           e, delusa, certo angustiata e stanca,

                           odia persino chi la seppe amar.
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